
Al Teatro Strehler di Milano è andato in scena dal 2 al 10 aprile lo spettacolo Draum om hausten del drammaturgo norvegese Jon Fosse, grazie ad una coproduzione del Piccolo con il Théâtre de la Ville di Parigi. La pièce è stata perciò proposta nella traduzione francese dell’opera col titolo Rêve d’Automne e sovratitoli in italiano; la regia è di Patrice Chéreau e sono saliti sul palco, nel ruolo dei protagonisti, Valeria Bruni Tedeschi e Pascal Greggory.
Fratelli, a un tempo
stesso, Amore e Morte
ingenerò la sorte.
Cose quaggiù si belle
altre il mondo non ha, non
han le stelle.
Nasce dall’uno il bene,
nasce il piacer maggiore
che per lo mar dell’essere
si trova;
l’altra ogni dolore, ogni
gran male annulla.
G. Leopardi, Amore e Morte
Al Teatro Strehler di Milano è andato in scena dal 2 al 10 aprile lo
spettacolo Draum om hausten del drammaturgo norvegese Jon Fosse, grazie
ad una coproduzione del Piccolo con il Théâtre de la Ville di Parigi. La pièce
è stata perciò proposta nella traduzione francese dell’opera col titolo Rêve
d’Automne e sovratitoli in italiano; la regia è di Patrice Chéreau e sono
saliti sul palco, nel ruolo dei protagonisti, Valeria Bruni Tedeschi e Pascal
Greggory.
I celebri versi di Leopardi, incipit
di una poesia dal titolo emblematico, descrivono efficacemente l’argomento
intorno a cui ruota l’opera dell’autore scandinavo: l’eterno conflitto fra Eros
e Thanatos, che non smette di affascinare attraverso i secoli. Nella
versione originale dell’opera, un uomo e una donna, di cui non conosciamo né i
nomi né le vite, si incontrano dopo anni di lontananza in un cimitero in
occasione del funerale della nonna di lui; della loro relazione tormentata intuiamo
solo quello che emerge dai loro ricordi distorti e disordinati, in una continua
alternanza di presente e passato. I piani temporali si intersecano e
sovrappongono continuamente, creando un senso di smarrimento nello spettatore;
punto fisso rimane comunque sempre la loro dolorosa storia d’amore.
A tratti si dubita anche del fatto che quello che li lega sia vero amore
e non sia piuttosto un’ossessione morbosa, un desiderio di trasgressione in una
vita borghese monotona, una dipendenza psicologica. L’Uomo è sposato e, pur
perso nella passione per la Donna, nutre spesso sensi di colpa verso la moglie
e il figlio, dai quali comunque si è estraniato, così come si è allontanato dal
resto della famiglia; il suo personaggio assume quasi i contorni dell’inetto.
La sua amata è invece libera da legami se non per la catena che non le permette
di fuggire da questa relazione penosa, tanto ardente è la passione che prova, e
forse è proprio a causa di essa che non è riuscita a crearsi una vita.
Chéreau sceglie di trasportare la vicenda nelle sale del Louvre e
abbandona l’ambientazione cimiteriale, scelta forse opinabile, ma la
recitazione enfatica e coinvolgente degli attori mantiene l’atmosfera tesa e
riesce a trasmettere un senso di ansia, di attesa per un qualche evento
inevitabile e drammatico. Presente, passato e futuro si sovrappongono e quello
che si percepisce nettamente è l’approssimarsi dell’ora fatale; tempus fugit
è quello che sembra urlare la Donna quando implora l’Uomo di prendere una
decisione, o lei o il resto del mondo, andarsene o restare per sempre al suo
fianco. Nel sacrilego amplesso fra le tombe, che allo Strehler diventano i
quadri del salone Denon del museo parigino, risuonano gli ammonimenti
edonistici che già Orazio ci dava col suo carpe diem e la presenza
stessa della Morte vuole essere un incoraggiamento a vivere intensamente, prima
di ritornare polvere.
Le lapidi sono un grande memento mori: la passione travolgente
che lega i due continua attraverso gli anni, sopravvive alle separazioni e alle
riconciliazioni, ma infine si troverà a fronteggiare l’ora estrema della vita.
Nulla può fermare la decadenza fisica e lo scorrere del tempo, seppur la
passione riesce a cristallizzarne degli attimi e a dilatare i secondi di
piacere in momenti di eternità, e i morti chiedono ai vivi di raggiungerli.
Allora, resta a ognuno di noi decidere se la Morte annullerà tutto quello che è
stato o se l’Amore è l’unica forza al mondo capace di sconfiggerla, se il
sentimento in qualche modo continuerà a esistere. Oppure, ci si può illudere
che tutto, Amore, Morte, l’Uomo, la Donna non siano che una rêverie nella
luce del crepuscolo autunnale, la fantasia di un’anima sola che cerca di che
nutrire la Vita.
Ginevra Pieracci