
Titolo: À la mémoire d’Anna Politkovskaia
Testo e Regia: Lars Norén. Interpreti: Gauthier Baillot; Jean-Pierre Baudson;
Laurent Caron; Malin Crepin; Agathe Molière; David Murgia; Clara Noël; Nicolas
Struve; Alexandre Trocki.
Coproduzione: Théâtre National, Théâtre Nanterre Amandiers, Riks Drama
Riksteatern.
Lingua: francese. Durata: 2 ore ca.
Bruxelles, Théâtre National, dal 2 al 17 novembre 2007.
Le pagine bruciate di un libro ricoprono tutto il pavimento. Un divano sulla
sinistra. Poco lontano, a destra, un rozzo giaciglio costituito da materasso,
coperta e due sudici cuscini. Sullo sfondo, a terra, contro la parete, un quadro.
Si direbbe una casa, o quel che ne rimane. Questa è la scena. Luce. Un uomo e
una donna iniziano subito a discutere a proposito del figlio di lei. Si direbbe
una famiglia, o quel che ne rimane. La discussione si trasforma presto in
scontro verbale e fisico.
Così si apre l’ultima pièce del drammaturgo svedese Lars Norén. L’incipit
ricorda da vicino uno dei suoi primi drammi, ambientati nel salotto borghese,
ma gli anni sono passati e siamo ormai lontani dall’universo chiuso e
soffocante del quartetto famigliare. L’inferno che vediamo ora è quello in cui
si muove l’intera società. La vicenda ha luogo in un paese senza nome e
sconvolto dalla guerra, in un periodo non precisato. Politici e militari, una
minuscola parte della popolazione, detengono il potere e lo esercitano a
proprio esclusivo beneficio. Il resto dei cittadini è ridotto alla fame,
sottomesso e tenuto nella costante inconsapevolezza delle proprie potenzialità.
In una siffatta situazione, tutto è in vendita e concetti come solidarietà, empatia
e rispetto reciproco sono solo utopie. È l’istinto di sopravvivenza a fare la
differenza, qui. La legge del più forte è la sola ancora vigente. Il silenzio
di Dio è dovuto all’estremo egoismo e all’ultraindividualismo dei personaggi,
che pensano solo a se stessi e non sanno più intendere la sua voce. Essi
pregano e vanno in chiesa, è vero, ma non per questo saranno salvati. Nel
finale, solo un bambino, forse, potrà smettere di sopravvivere e iniziare a
vivere davvero.
L’intero allestimento veicola l’idea di guerra come perdita di umanità e i cui
effetti perdurano ben oltre la sua risoluzione. La voce di Norén si leva chiara
e feroce contro l’indifferenza dei paesi che potrebbero fare qualcosa e che,
invece, restano a guardare.
Va precisato che la pièce, scritta prima dell’omicidio di Anna Politkovskaia,
non è ambientata in Cecenia e non ha nulla a che vedere con i reportage della
giornalista e scrittrice russa. Il titolo, cambiato dopo il tragico evento, è
semplicemente un omaggio al coraggioso lavoro di denuncia svolto dalla donna.
Norén, infatti, rifiuta di collocare geograficamente e temporalmente la
vicenda, intendendola, piuttosto, come universale: la stessa situazione da lui
descritta potrebbe verificarsi ovunque e in qualunque momento.
Per ribadire l’universalità dell’opera, il cast è composto da discreti attori
francesi, belgi e svedesi, forse tutti troppo belli e puliti per sembrare
davvero credibili nei panni di personaggi tanto miseri, che si muovono in un
ambiente sporco e corrotto. E questa è senza dubbio una delle pecche
dell’allestimento. Altra scelta di dubbia pertinenza è stata quella di
introdurre rispetto al manoscritto originale delle scene nuove, quasi tutte
superflue, probabilmente con lo scopo di rendere lo spettacolo più lungo. Tali
aggiunte sortiscono, piuttosto, l’effetto di rabbonire questa storia crudele e
dolorosa, la quale perde tanto in concisione come in immediatezza. La stessa
violenza, fisica e verbale, che avrebbe dovuto dare l’impronta caratterizzante
all’intera pièce, viene mitigata. Una messa in scena, dunque, meno aggressiva e
più gentile, per quanto l’uso di quest’ultimo aggettivo, parlando di Norén,
vada sempre inteso con cautela.
Questo lavoro rappresenta la conclusione della trilogia Morire di classe,
le cui prime due parti sono “Personkrets 3:1”, del 1997, e “Skuggpokarna”, del
1999. Da queste riprende molti stilemi (canzoni cantate dal vivo, gioco e sport
come occasione di incontro, frasi), ma l’autore e regista attinge a piene mani
anche da altri suoi drammi precedenti adottando la scena della crocifissione (Under),
il tema della guerra e delle sue conseguenze (Krig) e quelli
dell’incesto e della lotta tra i sessi (presenti nei suoi quartetti borghesi).
Il risultato è una sensazione di déjà-vu, a conti fatti, non totalmente
sgradevole.
Quando tutto è finito, però, viene da chiedersi se quanto si ha appena visto
sia davvero la summa della carriera di Norén o se, piuttosto, il Maestro non
abbia perso, e in tal caso si spera solo temporaneamente, il suo tocco magico.
Il desiderio di chi scrive è che con À la mémoire d’Anna Politkovskaia
il Nostro si sia accomiatato dal suo passato artistico per iniziare un nuovo
percorso.
di Elisa Pecere